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di Nicola Belloni, esperienza trentennale in materia di sicurezza, consulente senior in Polistudio S.p.A.
La sentenza della Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 2539 udienza del 3 dicembre 2015 individua nell’area datoriale una responsabilità relativa alla vigilanza sulle misure previste.
La Corte d'Appello ha confermato la sentenza di condanna emessa nei confronti del direttore tecnico di un’impresa edile alla pena di giustizia per il reato di cui all'art. 590, III comma, c.p. per avere cagionato ad un dipendente (capocantiere) della stessa impresa delle lesioni personali, per imprudenza, negligenza e imperizia e per la violazione delle norme antinfortunistiche di cui all'art. 18 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81.
La Corte d’Appello aveva attribuito la responsabilità dell'evento al direttore tecnico di cantiere, in quanto, in questa sua veste, avrebbe dovuto vigilare sulle attività quotidianamente svolte, rammentando che “il direttore tecnico ed il capo cantiere, figure inquadrabili rispettivamente in quella del dirigente e del preposto, sono titolari di autonome posizioni di garanzia, seppure a distinti livelli di responsabilità, dell'obbligo di dare attuazione alle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro. Ne consegue che la nomina di un capo cantiere non implica di per sé il trasferimento a quest'ultimo della sfera di responsabilità propria del ruolo dirigenziale del direttore tecnico”.
Dunque, se è vero, che il capocantiere è destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all'interno del cantiere rispettino le normative antinfortunistiche, il direttore tecnico di cantiere ha il preciso obbligo di verificare il minuto rispetto delle norme di sicurezza e di far osservare quanto previsto dal POS e dal piano di demolizione. La Corte ha quindi concluso che l'imputato avrebbe dovuto vigilare e tenere sotto controllo le attività quotidianamente svolte nel cantiere, evitando di consentire ai dipendenti di operare scelte spettanti alla dirigenza e di assumere iniziative operative proprie.
Nel caso di specie, come evidenziato, il rischio era ben valutato e le misure di prevenzione e protezione correttamente scelte (POS - Piano Operativo di Sicurezza - e Piano delle Demolizioni), solo che non erano state messe in atto.
Partendo proprio dal caso rappresentato si approfitta per trarne delle considerazioni generali valide per tutte le organizzazioni aziendali.
Normalmente si pensa che i precetti normativi siano espliciti nell’individuare cosa devono fare i soggetti che li devono rispettare.
Generalmente si è portati a pensare che l’attività di vigilanza sia da attribuire unicamente al preposto perché l’art. 19 individua nello stesso chiaramente questa responsabilità, mentre l’art. 18 non lo fa esplicitamente per datori di lavoro e dirigenti.
La cassazione, in varie pronunce negli anni, ha invece affermato e ribadito che al dirigente e al datore di lavoro compete un obbligo di verifica e vigilanza anche se non esplicitato, richiamando nell’Art. 18 dei precetti che implicitamente si adempiono anche grazie alla vigilanza (comma 1, lettera f).
Sempre in linea generale, seppure è vero che l’area dirigenziale non può essere costantemente presente per vigilare, è altrettanto vero che ha l’obbligo di attuare un’organizzazione che possa garantirgli questa vigilanza.
Dato per assunto che valutazione dei rischi e relative scelte di prevenzione e protezione siano quelle corrette e che i lavoratori siano stati informati, formati e addestrati, laddove la mancanza di rispetto delle scelte suddette non sia occasionale, ma reiterata, in quei casi la giurisprudenza, oltre ai preposti, individua una posizione di garanzia anche nel dirigente e nel datore di lavoro (poiché nella permanenza di disapplicazioni sulle misure di prevenzione e protezione l’obbligo di rilevamento delle stesse e di intervento non ha scusanti), con conseguente responsabilità per omicidio o lesioni personali colpose (CP 589 / 590) in caso di infortunio.
Soluzioni operative
Le stesse cassazioni ci danno indicazioni su come dare seguito alle previsioni dei precetti dell’articolo 18 dicendoci che deve essere strutturata una organizzazione che permetta a dirigenti e datori di lavoro, quando impossibilitati a una costante presenza nei luoghi di lavoro, di avere un ritorno costante sull’attuazione delle scelte di prevenzione e protezione e in particolare, dove non venissero applicate, l’organizzazione dev’essere tale da prevedere che i lavoratori non siano assoggettati a richiami benevoli bensì formali e, in caso di reiterazione, alle sanzioni previste dal contratto collettivo nazionale e/o dai regolamenti aziendali.
Oltre a ciò la mancanza di applicazione delle scelte di prevenzione e protezione dev’essere immediatamente ripristinata e, se dipendente da comportamenti del lavoratore, sullo stesso bisogna intervenire in modo deciso, perché sebbene il comportamento scorretto sia ascrivibile al lavoratore, anche il dirigente o il datore di lavoro ha una posizione di garanzia su tale mancanza.
Il feedback che l’organizzazione restituisce al dirigente deve pertanto consentirgli, non solo di capire quando ci sono dei problemi, ma anche di accertare che tutto avvenga secondo le previsioni.
Se ne deduce che il migliore strumento di tutela del datore/dirigente nell’ambito della vigilanza è un feedback (possibilmente supportato da documenti di registrazione che diano un ritorno anche in caso di rispetto completo delle misure antinfortunistiche) con una cadenza periodica correlata alla tipologia di monitoraggio che si deve effettuare (ad esempio due volte al mese in una linea di produzione fissa piuttosto che due/tre volte alla settimana in un cantiere).
Quanto sopra esposto, è rafforzato da uno specifico precetto (comma 3 bis dell’art. 18) a carico del dirigente in materia di vigilanza sull’operato degli altri soggetti (preposti, progettisti, fabbricanti, lavoratori, ecc.): “Datori di lavoro e dirigenti sono tenuti a vigilare sull’adempimento degli obblighi previsti a carico di preposti, lavoratori, progettisti, fabbricanti, fornitori, installatori, medici competenti”.
Supponiamo che preposti, lavoratori, ecc. abbiano violato i rispettivi obblighi e che dall’altra parte datori e dirigenti non abbiano vigilato sugli adempimenti relativi a tali obblighi: in questo caso, la responsabilità è da ritenersi esclusivamente di preposti, lavoratori, ecc. ed è quindi da escludersi la responsabilità di datori di lavoro e dirigenti?
Ovvero, la mancata vigilanza da parte di datore di lavoro o dirigente può escludere che la mancata attuazione degli obblighi sia indirizzabile solo a preposti, lavoratori, ecc.?
La risposta è chiara proprio nel comma 3 bis dell’articolo 18, laddove ribadisce l’esclusiva responsabilità dei preposti, lavoratori, ecc. solo se non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti.
Riferimenti normativi
Per quanto sopra richiamiamo gli Artt. 18 e 19 del D. Lgs. 81/08 e le numerose analisi svolte dalla Suprema Corte sugli obblighi di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti:
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 23542 dell’11 giugno 2008
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 26661 dell’30 giugno 2009
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 23505 dell’11 giugno 2008
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 27420 del 4 luglio 2008
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 21450 del 21 giugno 2006
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 10617 del 6 marzo 2006
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 25235 del 12 luglio 2005
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 20595 dell’1 giugno 2005
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 1238 del 19 gennaio 2005
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 36798 del 17 settembre 2004
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 4597 del 13 aprile 1999
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 8318 del 25 giugno 1999
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 80 del 5 gennaio 1999
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 11481 del 3 novembre 1998
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 3606 del 24 marzo 1998
- Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza del 9 dicembre 1996
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