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Di Lorenzo Belloni, socio fondatore di Polistudio S.p.A. e consulente tecnico di parte con esperienza trentennale.
Alcune considerazioni prendendo spunto dall’articolo apparso su Punto Sicuro.
L’evoluzione della tecnica, la conoscenza il confronto con altri paesi con altre culture hanno portato nel corso degli ultimi 60 anni ad un profondo cambiamento all’approccio con il concetto di prevenzione della sicurezza e della salute delle persone negli ambienti di lavoro.
Siamo passati da un concetto prevenzionistico del dopoguerra (DPR 547-55) che si basava sull’adeguatezza di macchine, impianti, luoghi di lavoro, a un concetto di valutazione dei rischi “condivisa “tra datore di lavoro e lavoratori dell’inizio degli anni 90 (D.Lgs. 626-94) per arrivare al 2008 (D.Lgs. 81-08) con l’introduzione “pesante” del concetto di organizzazione del lavoro in materia di sicurezza e salute.
Anche la giurisprudenza, in particolare la Corte di Cassazione, si è “adeguata” a tale evoluzione.
Se pensiamo a sentenze o concetti che negli anni ’80 prevedessero un comportamento “abnorme del lavoratore” o responsabilità dei preposti o meglio ancora di coinvolgimento dei “RSPP” o dei consulenti, non troviamo alcun riscontro ed era fuori dal modo di pensare e di agire di quei tempi.
Ora, le sentenze emesse dalla cassazione, non possono essere ignorate e ci devono far riflettere per mettere in discussione il nostro modo di operare di imprenditori, consulenti e lavoratori.
Analizziamo queste definizioni che, se applicate al nostro mondo possiamo ritenere nuove.
Comportamento imprudente è il comportamento di una persona che, indipendentemente dal ruolo assunto nella propria organizzazione, non tiene conto dei rischi, dei pericoli obiettivi o derivanti dalle proprie azioni, non si attiene a delle regole da lui conosciute la cui violazione potrebbe causare dei danni a lui stesso o a delle altre persone.
Ad esempio il lavoratore non indossa occhiali di protezione durante le operazioni di molatura, oppure alla guida di un carrello elevatore non rallenta in corrispondenza dei passaggio pedonali, ecc.
Comportamento esorbitante è la condotta del lavoratore che, pur collocandosi nell’area di rischio della lavorazione in corso, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute e, in sostanza consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici messi in essere dal datore di lavoro
Ad esempio: “Ho tolto la rete di protezione perché so dove sono i pericoli per cui sto attento”, oppure, nel caso di un preposto, “Ho fatto fare l’operazione di manutenzione senza mettere fuori servizio la linea perché era un lavoro breve e fatto altre volte senza conseguenze”.
Il comportamento abnorme, invece, si manifesta quando lo stesso si collochi fuori dall’area di rischio definita dalla lavorazione in corso o dalle proprie mansioni.
Per esempio un lavoratore non abilitato che sale su un carrello elevatore e investe un collega durante il tragitto verso gli spogliatoi, o che, uscendo dal posto di lavoro, imbocca il percorso riservato agli autotreni e viene investito.
Le sentenze e la logica del buon senso ci portano a dire che, l’imprudenza del lavoratore può escludere la responsabilità del datore di lavoro quando quest’ultimo abbia predisposto tutte le misure antinfortunistiche specifiche tali che se fossero state applicate non avrebbero causato l’infortunio al lavoratore. (Cass.pen.6741-2015;313013-2004; 23729-2005;3580-1999) i giuristi più evoluti dicono che l’evento infortunistico è attribuibile esclusivamente alla condotta commissiva del lavoratore se si dimostri che non vi sia stata condotta omissiva del datore di lavoro.
Rappresentativa in questo caso è la massima della cassazione (Cass. pen. 22247-2014) che afferma: “Incombe sul datore di lavoro il precipuo obbligo di impedire prevedibili imprudenti condotte dei lavoratori, mediante l’utilizzo di strumenti e macchinari non agevolmente alterabili, l’uso obbligatorio di dispositivi individuali di protezione e, non ultimo, l’approntamento di personale di vigilanza capace di negare l’accesso a procedure pericolose”.
Passando ora ad esaminare il comportamento esorbitante e abnorme è interessante e significativo vedere come la massima corte si sia spinta a modificare quei confini di queste due definizioni che, come sopra esposto, avevano termini e contesti ben definiti.
Con la sentenza (Sez. 4, n. 3455 del 03/11/2004, dep. 2005, Volpi, Rv. 230770) si afferma che:
“Se, dunque, da un lato, è stato posto l'accento sulle mansioni del lavoratore, quale criterio idoneo a discriminare il comportamento anomalo da quello che non lo è, nel concetto di esorbitanza si è ritenuto di includere anche l'inosservanza di precise norme antinfortunistiche, ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, a condizione che l'infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro”.
“In sintesi, si può cogliere nella giurisprudenza di legittimità la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell'area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute e, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro”.
E quindi?
Gli insegnamenti che si devono trarre sono molti e tra questi i più significativi sono:
- Quando si fanno le valutazione dei rischi e i conseguenti documenti ci sono le descrizioni delle attività lavorative fatte da ogni “mansione”?
- Per ogni rischio attribuito a una persona che esercita una o più mansioni è collegato il motivo per cui è esposto a quel rischio? Più precisamente se dico che è esposto al rischio di scottatura, specifico anche in che fase della lavorazione?
- Nelle nostre valutazioni attuali teniamo conto dei “rischi da imprudenza prevedibile dei lavoratori?”
- Nelle aziende in cui operiamo, esiste un chiaro e ben definito sistema piramidale di sorveglianza e controllo? se esiste è organizzato e dimostrabile con elementi oggettivi, contestuali, specifici e non generici?
In conclusione l’evoluzione normativa, il progresso tecnico e la giurisprudenza hanno messo in atto tutti gli strumenti utili per fare in modo che chiunque voglia contribuire a rendere migliore la nostra vita e a prendersi cura di quella degli altri, indipendentemente dal proprio ruolo, lo possa fare e non ci siano più attenuati a patto che ognuno faccia la propria parte con coscienza e buon senso.
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