In una recente sentenza, la Corte di Cassazione riafferma il principio che a contarenon è la forma, bensì la sostanza del contratto, ovvero la reale interferenza che intercorre tra le varie imprese operanti nello stesso cantiere.
Una recente sentenza di Cassazione (n. 46401 del 12 ottobre 2018), ci ricorda come “..ai fini della operatività degli obblighi di coordinamento e di cooperazione connessi all’esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall’art.26 D.Lgs.vo 9.4.2008 n.81, occorre avere riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quali il contratto di appalto, di opera o di somministrazione, ma all’effetto che tale rapporto origina, ovvero alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano nel medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per la incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (sez.IV, 7.6.2016, P.C. in proc. Carfì e altri, Rv. 267687; 17.6.2015, Mancini, Rv. 264957).”
Questi i fatti: nell’allestimento di tre torri anemometriche, un sub-appaltatore, cui erano stati sub-appaltati alcuni interventi collegati al funzionamento della torre, rimane vittima di un cedimento di una torre, poichéè si trovava a sostare in una zona alla base di una delle tre torri, poi caduta, in cui vi doveva essere il divieto di sostare.
Sono stati condannati i rappresentanti legali dell’Azienda committente e dell’Impresa affidataria, per la mancata redazione del documento unico di valutazione dei rischi da interferenze. L’Impresa affidataria (ed esecutrice dell’installazione delle torri anemometriche), in aggiunta, è stata condannata per aver omesso di adottare le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro fossero installate in conformità alle istruzioni di uso, in violazione dell'art.71 D.Lgs. 81/2008. Nella sentenza si è esclusa l’abnormità del comportamento della vittima in quanto le circostanze e l’obbligo di interdire la zona, erano in capo ed in piena disponibilità dell’Impresa esecutrice dell’opera.
Il titolare dell’impresa committente presenta ricorso con il seguente motivo: il lavoro commissionato alla vittima era semplice, di durata inferiore alla soglia di applicabilità legata ai gg uomo previsti dall’articolo 26, pertanto non vi era l’obbligo della formulazione del DUVRI.
Il titolare dell’impresa esecutrice presenta ricorso con i seguenti motivi: la mancanza di predisposizioni di cautele siano imputabili alla vittima per non avere prodotto il relativo POS nello svolgimento della prestazione da eseguire e di non essersi atteso alle regole cautelari in esso previste.
Un ulteriore motivo di doglianza pone in evidenza come la norma (art.26) sia cambiata nel 2013 in “inferiori a 5 uomini giorno” e che quindi, secondo questo criterio, neppure considerando il complesso degli interventi dei sub appalti alla ditta della vittima sarebbe sorto l’obbligo di predisposizione del documento, con conseguente carenza del profilo di colpa ascritto.
La corte di Cassazione respinge i ricorsi fornendo le seguenti motivazioni: per la motivazione del Committente, la corte ricorda come la Cassazione si deve esprimere sulla corretta applicazione secondo logica e coerenza giuridica applicata dai giudici di merito, e il ragionamento effettuato risulta immune da tali vizi. Tale corte ha evidenziato come le prestazioni oggetto dell’appalto (ovvero, l’installazione delle tre torri anemometriche), anche in ragione della complessità organizzativa, necessitassero della cooperazione e del coordinamento e che le stesse comportassero un impegno superiore alle due giornate lavorative, termine minimo per escludere la predisposizione del documento di valutazione dei rischi. Inoltre si pone in evidenza come la mancata predisposizione del documento di valutazione dei rischi si è posta come antecedente causale all’infortunio occorso, la mera fornitura del materiale necessario per la realizzazione della torre anemometrica corredato da istruzioni che ammonivano a non operare sotto il palo, non poteva costituire sufficiente adempimento agli obblighi gravanti sul committente soprattutto riguardo allo svolgimento delle lavorazioni interferenti non direttamente collegati al montaggio della installazione.
La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso, ricorda un principio che negli ultimi anni ha avuto più di una conferma: l’aspetto della forma del contratto non può contare, va osservata piuttosto la sostanza, ovvero la reale interferenza che intercorre tra le varie imprese operanti nello stesso cantiere. Nel caso in oggetto le interferenze erano appieno all’interno della sfera del rischio governata dal soggetto titolare del rapporto di garanzia.
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